Stefano Brushman Bagnoli

Jazzista nell’Anima

Stefano nasce a Milano nel 1963, figlio e nipote di Gigi e Carlo primi a fondare una jazz band in Italia nel 1951. Muove i primi passi musicali alla fine degli anni ’70 al fianco di artisti storici del jazz nazionale come Paolo Tomelleri, Renato Sellani, Franco Cerri, Sante Palumbo e Gianni Basso. Viene al giorno d’oggi riconosciuto come uno dei batteristi più richiesti a livello nazionale e vanta collaborazioni di rilievo con artisti stranieri tra i quali Clark Terry, Cedar Walton, Harry Sweet Edison, Buddy de Franco, Tom Harrell, Scott Hamilton, Curtis Fuller, Johnny Griffin, Chico Buarque, Chucho Valdes, Bob Wilber, Peter Washington, Sir Roland Hanna, Al Grey, Jimmy Woody, Bob Mintzer e molti ancora. Dall’inizio della carriera, nel 1978, ha all’attivo oltre duecento registrazioni discografiche il che dimostra il suo vivace estro e capacità di adattamento ai vari stili. È ormai conosciuto da tutti come Brushman per la sua tecnica e raffinatezza nell’uso delle “spazzole” . Insegnante di spicco all’Accademia del Suono e nei Conservatori di Milano e Torino, Stefano si è reso disponibile per rispondere ad alcune delle nostre domande.

– Stefano cominciamo dagli albori, cosa ti ha spinto a scegliere come strumento la batteria e non magari contrabbasso o sax come i tuoi parenti? Hai avuto in particolare un musicista che ti ha influenzato?
– Come sovente succede ai bambini, sono stato “baciato” dalla consuetudine dell’innamoramento spontaneo e inspiegabile verso lo strumento che suono, tuttavia amo il contrabbasso tanto quanto la batteria! Sicuramente, avendo in casa a disposizione i dischi del papà, la mia curiosità è stata aiutata a plasmarsi: la Milan College Jazz Society (la band di papà e zio) e il monumentale carisma del padre del jazz Louis Armstrong sono stati i primi “fari” in assoluto.

– A quali maestri ti senti davvero di dire grazie?
– Tanti. Mio papà e mio zio in quanto guide “di casa” istintive e discrete; successivamente coloro che mi hanno formato tecnicamente, Carlo Sola e Franco Campioni e in ultimo i primi musicisti che mi hanno cresciuto “on the road”, Paolo Tomelleri, Sante Palumbo, Mario Rusca, Nando De Luca, Marco Ratti e molti molti altri grandi uomini appassionati, anche non professionisti, che hanno vissuto il jazz in Italia dal dopoguerra e che con il loro entusiasmo mi hanno spinto ad assecondare la vita che ho scelto.

– Com’è nato il tuo interesse specifico per l’uso delle spazzole che ti ha portato addirittura ad aggiungere un terzo nome al tuo. C’è stato qualcuno in particolare che ha iniziato a chiamarti così?
– Nell’appartamento al sesto piano, dove abitavo con i miei a Milano, ovviamente suonare la batteria poteva creare qualche disturbo per cui un meraviglioso rullante ed un paio di spazzole sono stati i primi regali “professionali” che mio papà mi fece. Accompagnare i dischi con le spazzole è stata la prima esperienza che ho avuto con la batteria. A metà degli anni novanta facemmo con dado moroni, francesco bearzatti e riccardo fioravanti unasplendida e breve tourneè, con noi c’era una vocalist importante, adrienne west: fu lei a battezzarmi “brushman”.

– Abbiamo letto dall’introduzione che spazi in vari stili. C’è un genere musicale lontano dal mondo del jazz che vorresti esplorare o che apprezzi?
– Jazzisticamente ho suonato veramente di tutto, dalle marchin’ band New Orleans al free! In questo 2011 compio 33 anni di carriera ma ho appena cominciato a scoprire me stesso e il jazz in tutte le sue sfaccettature, tuttavia sono sempre stato “un’anima in pena” nel senso che non potrei mai sentirmi appagato di quello che faccio! Torno indietro agli anni ’80: studiando percussioni al conservatorio feci le mie esperienze con l’orchestra sinfonica della RAI di Milano; Saltando al 1994 cominciai la collaborazione con Enzo Jannacci e con lui e il figlio Paolino ho scoperto il mondo della musica d’autore a cavallo tra jazz e pop; in questi ultimi anni la collaborazione con il mio collega “rock” Roberto Gualdi (batterista di Pelù, dalla, PFM, Dolcenera) mi ha aperto orizzonti nuovi riguardo il mio interesse per il rock. Lungi da me avere paraocchi talebaneschi riguardo la musica, da Vivaldi agli Slipknot ascolto di tutto pur essendo irrimediabilmente “jazz” nel DNA.

– Cosa ne pensi, tu che hai all’attivo collaborazioni con moltissimi artisti, del movimento ritmico attualmente presente in Italia?
– Il mio amico e “guru” della batteria nazionale Ellade Bandini anni fa mi disse: “verrà un momento in cui le barriere stilistiche tra jazz, pop e rock si annulleranno e che finalmente ci si renderà conto di quanto potere abbia il mondo della batteria e quanti stimoli possiamo contribuire a far crescere prendendo spunti gli uni dagli altri”. Beh, direi che quel momento è arrivato e se per “movimento ritmico” intendiamo la forza motrice di un mondo percussivo sempre più ampio e motivato a rinnovare le idee musicali in genere, direi che in Italia non dobbiamo invidiare nessuno al mondo!

– Ci vuoi parlare degli artisti con cui collabori attualmente e che scherzosamente chiami “le tue orchestrine”?
– Le mie metamorfosi artistiche si sono susseguite in trent’anni percorrendo strade che mai avrei potuto premeditare. I miei ultimi dieci anni, dal 2000, sono stati un’esplosione di novità e rinnovamenti che mi hanno spronato a sperimentare me stesso mettendomi in gioco costantemente. Incontrare Paolo Fresu alcuni anni fa e consolidare con lui la collaborazione, mi porta quotidianamente a contemplare il lavoro del musicista in perfetto equilibrio tra creatività artistica e concretezza professionale. Paolo più di ogni altro artista che conosco è una macchina perfetta in entrambe le vesti. Con Francesco Cafiso ho “toccato con mano” un talento sovrannaturale, con lui sono cresciuto in sette anni di musica insieme annullando il divario anagrafico. È un fenomeno mondiale senza nessuna possibilità di replica! Con Dino Rubino il fato ha voluto che diventassimo fratelli, l’alchimia “chimica” ha stabilito che dovessimo incontrarci per scoprire dove approderemo galleggiando nell’oceano musicale sul quale stiamo navigando da un paio d’anni. Dino è un artista di un’intensità estrema e con lui stiamo costruendo un futuro molto compatto.

– Quali idee stai portando avanti con loro e quali progetti discografici hai in cantiere?
– Con Dino Rubino e Paolino dalla Porta, il trio con il quale stiamo per registrare (febbraio 2011), un cd dedicato a Miriam Makeba; il nuovo quartetto di Rubino parallelo al trio, suo primo gruppo da leader in veste di trombettista; il nuovo cd del Devil Quartet di Paolo Fresu; il film “La metafisica delle scimmie” di Marina Spada di cui abbiamo registrato la colonna sonora composta da Fresu e Bebo Ferra; il documentario “Inge film” la storia di Inge Feltrinelli di cui abbiamo registrato la colonna sonora composta da Paolino dalla Porta; lo splendido cd in uscita a breve di Carmen Spatafora, grande vocalist siciliana con gli arrangiamenti di Giovanni Mazzarino; il nuovo cd del “talentissimo” Mattia Cigalini con il quale sta per nascere una bella collaborazione; un futuro esperimento con un altro fantastico talento il ventenne pianista Enrico Zanisi; il terzo cd in trio con Paolino Jannacci, superbo compositore; il metodo didattico a quattro mani con il collega Roberto Gualdi (alias “il diavolo & l’acquasanta”); il nuovo quartetto di Mauro Negri; il quintetto Urban Raga di Paolino dalla Porta e ovviamente le collaborazioni saltuarie con i miei fari di un tempo : mio zio Carlo, Renato Sellani, Gianni Coscia, Franco Cerri, Dino Piana.

– Su quali basi scegli gli artisti con cui collaborare?
– Sono loro a scegliermi ! Non è presunzione bensì il ruolo strumentale che mi appartiene; considerando il batterista come “architetto” del gruppo, è il “padrone di casa” che predilige il più adatto alle proprie esigenze strutturali. Direi che ho il mio bel da fare ad arredare dimore di lusso!

– Come si è evoluto secondo te il mercato della musica con l’avvento di internet e cosa ne pensi dell’espansione sempre più notevole di testate web che si occupano di musica, come questa, rispetto alla classica carta stampata ? Pensi sia un mezzo importante per diffondere l’amore e la passione per la musica?
– Fintanto che non esistevano i cellulari il telefono di casa era sufficiente…dopodichè….bang…stravolto tutto! Al passo coi i tempi quindi lunga vita a internet poiché ha reso fruibile un mondo di informazioni in tempo reale sposando la virtualità alla concretezza….con un occhio guardo Michelangelo e l’altro Picasso….con un orecchio Bach e l’altro Armstrong! Sta a noi poi non confondere “il grande fratello” con un film di Antonioni…

– A proposito di internet, sei molto presente anche sui social network come Facebook e Myspace , quindi ritieni importante mantenere contatti attraverso questi mezzi in prima persona?
– Sono un musicista quindi, nel mio piccolo, un personaggio pubblico con un seguito di fans e curiosi. È parte integrante della mia vita dialogare e dar retta a chi cerca da me un saluto o un consiglio, non potrei non investire minuti o ore della mia giornata assecondando questa logica di vita social – virtuale, oltre che essere un modo come un altro per curarsi delle proprie “PR”. Certo si corrono dei rischi con i più esuberanti e invasivi ma sarebbe ben più triste se non mi si filasse nessuno!

– Hai qualcuno che si occupa della tua immagine o sei manager di te stesso?
– Un aiutino esterno ce l’ho anch’io tuttavia si raccoglie quel che si semina… quindi chi fa da se fa per tre.

– Senti ogni tanto la pressione di esser sempre sotto i riflettori e di avere poca vita privata?
– La mia vita privata è in simbiosi con quella pubblica, potrei rispondere che per sostenere il ruolo bisogna sacrificare qualcosa ma in realtà non sacrifico nulla poiché la mia vita mi piace esattamente così com’è!!!! Sono abbastanza “orso” quindi nei momenti liberi mi chiudo nel mio “eremo” per ricaricarmi e guai a chi tocca la compagnia della mia solitudine.

– Molti ritengono che il jazz sia ancora una musica per un’elite di persone, al contrario che negli Stati Uniti dov’è nato, cosa ne pensi?
– Il jazz è la pangea musicale per eccellenza, è nato negli States ma se non ci fossero stati gli emigrati italiani e tutti gli altri non esisterebbe! Le mode più o meno idiote esisteranno sempre…compresa quella di rendere il jazz una moda! Ci sono i fenomeni fatui programmati dai genii degli uffici stampa, i palestrati tronistati, ci sono le clonate con le tette al plasma ma, guarda caso, Armstrong, Ellington, Parker e Davis sono sempre lì, immortali!!!

– Gli spazi in Italia per suonare, secondo te, sono alla portata di tutti?
– La concretezza della crisi mondiale e certa ottusità politica non aiuta, tuttavia il jazz ha sempre convissuto con le ostilità. Milano, per esempio, finalmente sta risorgendo da un decennio mummificato e cominciano a rifiorire i club dove si fanno jam sessions. Le finanze sono sempre ridotte all’osso per chi vuole investire su serate live o eventi tant’è che quando ho iniziato io nel 1978 si conviveva con gli stessi problemi. È importante essere vigili sulla realtà circostante ma mai angosciati, del resto non avrei fatto il musicista se avessi voluto una vita tranquillamente ortodossa. Ai giovani trasmetto positività poiché per emergere, oltre al talento, bisogna avere la testa sulle spalle e credere in quello che si fa nonostante i tempi bui.

– Insegni in tre scuole importanti, ritieni quindi che l’insegnamento ti possa offrire ancora spunti, nonostante i tuoi numerosi impegni che ti portano a girare l’Italia e l’estero?
– Io su Facebook e dal vivo scherzo con i miei allievi chiamandoli cani rognosi e anche peggio, ma la realtà è che devo molto a tutti loro poiché è grazie alle giovani generazioni che rimango io stesso giovane, aggiornato, responsabile, entusiasta, propositivo, curioso e appassionato. E loro lo sanno. Insegno loro per imparare io stesso a vivere un po’ di più ogni giorno. Così cresciamo insieme.

– Ricordiamo a tal proposito che sei tornato non da molto dall’expo’ di Shangai, uno tra i pochi esponenti italiani con Bollani, Cafiso , e Paolo Fresu. Cosa ci riporti da questa esperienza?
– Che Furio (di Castri) una sera ci ha portato in un ristorante indimenticabile!!!! Ho goduto finalmente della cucina cinese ai massimi livelli.

– Cosa ne pensi dell’esperienza a Zelig che si ripete per il secondo anno nell’orchestra del grande Paolo Iannacci?
– Amo Zelig! Non posseggo il televisore in segno di ripudio totale verso quella gran parte di “vuoto assoluto” che viene trasmesso in generale ma vivere in teatro e nella sala prove tre giorni la settimana per tre mesi (più uno di allestimento) con gli amici della band, i comici, Bisio e la Cortellesi è un’esperienza che non potete capire!

– I tuoi sogni nel cassetto?
– Fare un’altra intervista uguale tra quarant’anni….