Marco Confetti – Voglia di UFIP
foto di Chiara Benelli
Marco Confetti, musicista poliedrico dalle collaborazioni più svariate ma prevalentemente proiettato nell’ambito rock/blues. L’intensa attività live lo ha portato a partecipare ai più prestigiosi blues festival nazionali (Pistoia Blues, Lodi Blues Festival, Sfilza Blues, Blues in Idro, Bordighera Jazz & Blues Festival). Ha collaborato, tra gli altri, con artisti del calibro di Giacomo Castellano, Mr. Banana Blues Band, Giacomo Ballerini e gli Hot Joints, Steve Arvey, Riccardo Onori, Jono Manson, Santiago, Marcomale e molti altri. Con i Seventh Seal ha pubblicato due dischi distribuiti a livello internazionale i cui brani sono stati anche inseriti in numerose compilation. Nel 2006 si è diplomato, sotto la guida del maestro Luca Capitani, presso l’accademia di batteria Scuderie Capitani col massimo dei voti e menzione di lode. Ha frequentato il triennio jazz presso il conservatorio di Ferrara studiando tra gli altri col maestro Ellade Bandini. Ha seguito corsi di specializzazione con i più affermati batteristi italiani come Agostino Marangolo e Alfredo Golino. Durante la sua permanenza a Chicago ha avuto modo di approfondire lo studio del blues col maestro Pooky Styx. E’ un insegnante abilitato dell’accademia Scuderie Capitani. Dal 2009 coordina e dirige la scuola di musica New Generation Drum School. La sua intensa attività didattica comprende anche seminari e clinic sul territorio nazionale.
Marco Mammoliti – Ciao Marco e grazie per aver accettato il nostro invito. Iniziamo con il conoscerti un po’ meglio. Ti sei diplomato nel 2006 presso le Scuderie Capitani sotto la guida di Luca Capitani, poi hai proseguito i tuoi studi sia in Italia sia negli USA. Puoi illustrarci brevemente il tuo percorso?
Marco Confetti – Ciao Marco e grazie a te e a Planet Drum per essere sempre in prima fila quando si tratta di informare e di sostenere iniziative inerenti la batteria e la musica in genere.
Come hai ricordato, nel 2006 mi sono diplomato con Luca Capitani che aveva appena creato una sua struttura didattica. In quel periodo tutto sembrava un sogno così ambizioso… Oggi sono passati dieci anni e Scuderie Capitani è la più grande accademia di batteria italiana con circa 35 sedi. Un vero onore farne parte come insegnante.
Studiare con Luca mi ha cambiato la vita, mi ha dato un metodo e mi ha permesso di imparare un linguaggio con cui ho potuto continuare a studiare e a relazionarmi, sempre con estrema umiltà, con i più grandi batteristi e musicisti al mondo senza sentire quel tipico timore reverenziale che spesso ci portiamo dietro (ingiustificatamente) noi musicisti italiani. Luca era e sarà sempre “Il Maestro” per me.
Dopo il diploma per un periodo ho studiato anche con Agostino Marangolo, un grande artista e un grande uomo che mi ha lasciato molto. E’ stato uno stimolo verso la concretezza del mondo della musica che non scorderò mai.
Quasi nello stesso periodo mi sono iscritto al triennio Jazz del conservatorio di Ferrara studiando tra gli altri con Ellade Bandini. Inutile dire quanto sia stata importante questa esperienza che mi ha permesso di allargare gli orizzonti anche sugli aspetti compositivi, teorici e storici della musica.
Riguardo invece al lato più Blues del mio percorso, per me sono stati fondamentali l’amicizia e le lezioni di Carmine Bloisi, un grandissimo batterista purtroppo conosciuto molto meno di quanto meriterebbe.
Negli States invece ho preso qualche lezione da un batterista di Chicago che si chiama Pooky Stix.
Questo percorso di studio è stato parallelo ad un’intensa attività live fatta di più di mille concerti e jam session. Il palco è una grande scuola che nessun libro può sostituire e sono grato ai musicisti che hanno creduto in me in questi anni dandomi tante opportunità.
M.M. – Cosa ti ha lasciato l’esperienza di Chicago?
M.C. – Il viaggio a Chicago mi è servito soprattutto per avere una minima visione su un panorama musicale, quello americano, di cui avevo sempre sentito parlare. Essere immerso nella patria del Blues, in mezzo ad artisti di cui avevo sempre sentito i dischi, con concerti e jam session tutte le sere in varie parti della città, è senza dubbio un’esperienza fantastica. Nel 2008/2009 in Italia, nomi come Chris Coleman o Aaron Spears, non erano ancora così pesantemente affermati come oggi ma a Chicago già da tempo si respirava a pieni polmoni l’influenza del così detto gospel drumming che aveva radicalmente cambiato anche il Blues. Io avevo imparato questo genere dai vecchi dischi della Chess Record così come da quelli di Steve Ray Vaughan ed è stato buffo e stimolante al tempo stesso sentirmi dire dai batteristi di Chicago: “suoni alla vecchia maniera, adesso lo stile è un po’ cambiato… però hai un buono shuffle, continua così”.
M.M. – Dal 2009 metti a disposizione dei tuoi allievi tutta la tua esperienza grazie alla tua scuola di musica New Generation Drum School. Come si strutturano le tue lezioni?
M.C. – Quest’anno sono sedici anni che insegno e questa attività, ci tengo a sottolinearlo, non è un ripiego per me. La didattica è un’ arte tanto quanto suonare su un palco e come tutte le arti deve affascinare, deve accendere emozioni.
Nella mia scuola insegno ovviamente il metodo Scuderie Capitani e questo mi permette di svolgere un programma completo e strutturato. Quando il percorso tecnico non ha lacune, si può portare la didattica su un altro livello e affrontare la musica da un punto di vista concettuale, ragionare in termini artistici e musicali, non esclusivamente da strumentista/performer. Questa è una delle cose più importanti che cerco di trasmettere ai ragazzi, almeno a quelli più motivati. Per fortuna è finito il periodo in cui si contrapponevano retoricamente “il cuore” e la tecnica. Oggi le conoscenze ci sono, non sono più esclusivo appannaggio di pochi. La didattica del nostro strumento ha subito una vera e propria rivoluzione e negli ambienti professionali si dà per scontato che un musicista sia tecnicamente preparato sotto più aspetti possibili. La differenza pertanto la fa la caratura artistica.
M.M. – Ultimamente hai girato un bellissimo video dove utilizzi piatti UFIP. Com’è nata l’idea?
M.C. – Il video è nato da una “visione” che avevo da tempo, ovvero unire le immagini di una performance musicale a quelle della lavorazione dei piatti UFIP di cui sono endorser. Chiunque abbia visitato quella fabbrica e in particolar modo la fonderia, ne è rimasto entusiasmato e io ho deciso di canalizzare questo entusiasmo in un video musicale.
Oltre alla grande disponibilità dello staff UFIP, in particolar modo di Damiano Tronci, questo progetto è stato reso possibile dal talento e dalla professionalità di un altro “visionario” ovvero Giacomo Castellano. Il suo è un nome di primissimo piano in ambito chitarristico ma è anche un videomaker d’eccellenza oltre che arrangiatore e produttore di livello internazionale. Con lui abbiamo scritto e arrangiato il brano che io considero un tutt’uno col video in quanto il suono è stato creato in funzione delle immagini e viceversa. Inoltre Giacomo ha curato interamente l’editing e la regia del video.
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M.M. – A questo punto devo chiederti nei dettagli come sono state effettuate le riprese video e le registrazioni audio dal vivo nella fonderia.
M.C. – Le riprese audio della batteria sono state effettuate all’interno della fonderia in quanto volevo che il suono fosse contestuale all’ambientazione e soprattutto volevo evitare il playback. Per questo delicato compito ci siamo avvalsi della professionalità di Andrea Pellegrini (King Crimson, Gavin Harrison, Elio e le storie tese). Il tutto è stato poi mixato da Giacomo (che ha suonato anche le chitarre, il basso e le tastiere), e masterizzato in Germania da Michael Conn.
Riguardo invece alle riprese video, abbiamo utilizzato una piccola troupe di tre operatori (Lorenzo Tordini, Chiara Benelli e Lorenzo Sulli), di supporto a Giacomo che ha curato in prima persona tutti i filmati delle varie fasi di lavorazione oltre alla mia esecuzione.
Credo che fare delle riprese all’interno di un ambiente così suggestivo sia stato per loro come per l’orso tuffarsi nel miele. Per me ovviamente è stato tutto più difficile in quanto, da un lato sentivo il peso della performance live ma al tempo stesso ero un “attore” nelle mani del regista alle cui richieste dovevo rispondere mettendo tutto il resto in secondo piano.
Gli operai della UFIP invece sono stati molto più spontanei e fotogenici di me 😀 😀 😀
M.M. – Vuoi parlarci del set utilizzato nel video e dei tuoi strumenti di lavoro in genere?
M.C. – Volentieri! Ho utilizzato un set misto attingendo dalle serie Blast e Natural. Coi piatti Blast ho un legame affettivo particolare in quanto questa serie è stata sviluppata in maniera sinergica da Damiano Tronci e Luca Capitani e io ho avuto la fortuna di seguire da vicino questo percorso come spettatore.
Al di là di questo, la scelta del set è stata dettata, oltre che dalle esigenze sonore del brano, anche dalla volontà di mostrare il lato più “moderno” (e affascinante secondo me), dei piatti UFIP.
Piatti leggeri e con una risposta veloce ma al tempo stesso caldi e “corposi”.
Per ogni diametro ho scelto i piatti col minor peso possibile, con particolare attenzione al Natural Hi Hat da 15” e al nuovissimo Natural Collector Ride da 22” che ha sorpreso tutti in fase di registrazione. Un ride leggerissimo, “crashabile” ma che mantiene un ping definito e una campana pazzesca.
Inoltre due effetti importantissimi per la riuscita del pezzo sono stati lo snare clang da 14” e l’hat clang da 10”. Il primo l’ho usato sul mio rullante Ludwig in bronzo con un’accordatura molto scura in modo da ottenere un suono tipo sample anni ’80. Il secondo invece l’ho montato su una coppia di crash da 16” per ottenere un suono tipicamente “trashy”. L’elenco completo dei piatti utilizzati è riportata in coda al video. Mi fermo qui perché potrei parlare per ore solo dei piatti per i quali nutro una sorta di feticismo 😀 😀 😀
M.M. – Grazie Marco per la disponibilità e per l’amicizia che hai sempre dimostrato nei confronti di Planet Drum e miei.
M.C. – Grazie di nuovo Marco per la tua professionalità e la sensibilità con cui segui tutto ciò riguarda il nostro strumento. Spero che ci sia presto una nuova occasione per fare due chiacchiere e condividere energia e passione per la musica. Un caro saluto a tutti i lettori di Planet Drum. Rock on!